A tavola con gli Estensi: la Saba
La storia della gastronomia è legata fortemente alla possibilità di poter conservare i cibi. La naturale degradazione biologica è stata da sempre combattuta con le spezie, che oltre ad un’azione antisettica, con il loro forte aroma coprivano difetti ed alterazioni. Grasso, olio, sale e zucchero (già utilizzato in epoca rinascimentale), sono mezzi “disidradanti”, nei quali poter conservare efficacemente carni e frutti. La Saba si inserisce in questo discorso essendo un concentrato di succo di uva: per tradizione si ottiene facendo bollire il mosto opportunamente decantato e filtrato, fino ad un volume pari a 1/3 di quello iniziale. Durante l’ebollizione a fuoco diretto si innescano reazioni particolari, che portano alla formazione del caratteristico aroma di caramello: la Saba si presenta quindi come un denso liquido bruno dal caratteristico profumo. Prodotto da secoli nella pianura emiliana, viene citato da Giovanni Vittorio Soderini (1526-1597) ne “Il Trattato degli albori”, a proposito del modo di consumare e conservare le pere: “… E tutte le dure e le aspre così di queste sorti come delle altre si hanno a mangiare cotte con zucchero o mele o sapa (nome ancor oggi usato nel modenese, ndr)”, e ancora: “… Altri le cacciano in sapa, in vin dolce, in passo o mosto, che vi stiano ricoperte nei vasi pieni…”.
La concentrazione realizzata in modo empirico può non portare al contenuto di zuccheri richiesto per la sua stessa conservazione, quindi sono possibili fermentazioni successive, che portano alla formazione di acido acetico. Si può quindi ragionevolmente pensare che il famoso Aceto Balsamico Tradizionale possa trarre origine da una Saba acetificata; anche questo prodotto deve molta della sua odierna celebrità agli Estensi, le cui cronache e memorie sono ricche di riferimenti ad esso.